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Venegono Superiore (Italia), Santa Pasqua 1975

G.A.M.  ’12  “Un Servizio efficace al servizio della Vita!”

Venegono Superiore (Italia), Santa Pasqua 1975

Carissimi,
ho alcune buone notizie che sono per voi e per me un incoraggiamento a continuare nell’impegno che portiamo avanti con amore.

Durante il mese di gennaio è partito per il Burundi come volontario un giovane falegname di Cantù, Maurizio; invece di andare a perdere tempo nelle caserme della patria, ha preferito andare a insegnare il suo mestiere ai ragazzi di Mabayi. Ma abbiamo corso un brutto rischio: per poco la burocrazia italiana ce lo rapinava, mandando a vuoto una lunga preparazione di quasi due anni, e lasciando a bocca amara i nostri amici di Mabayi che lo aspettavano con ansia da tanto tempo.

Quando tutte le carte erano ormai in ordine, il contratto firmato per bene, i documenti a posto e perfino il permesso di entrata in Burundi già ottenuto, la fantasia dei funzionar! militari gli ha giocato un tiro mancino: è stato invitato a presentarsi urgentemente in caserma a Lecce.

Con in cuore un’amarezza immensa è dovuto partire. Laggiù gli hanno dato una divisa, gli hanno tagliato la barba, gli hanno messo in mano un fucile, e volevano che diventasse un fiero caporale, istruttore di cose in cui non aveva mai creduto.

Noi eravamo tutti molto seccati; ma per Maurizio deve essere stata un’esperienza assai dura. “Gianni, aiutami ad uscire da questo inferno!” – mi scrisse.

Non fu facile davvero! Ma sono felice che in quella occasione il buon senso e l’equilibrio di alcune persone che trovai al Ministero della Difesa, ebbe la meglio sulla freddezza di una legge dura e senza vita.

Vi lascio immaginare la sua gioia quando, finalmente libero da quella trappola mortale, l’abbiamo caricato sull’aereo per Bujumbura. In occasione della sua partenza ho inviato a Mabayi un contributo di Lire 500.000 a nome del GAM. Serviranno a sostenere il grande sforzo di alfabetizzazione che stanno facendo ormai da tempo.

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I rifugiati Barundi

Ne abbiamo parlato un po’ nell’ultima lettera, come di un problema enorme, che tutta la buona volontà dei pochi missionari che vivono accanto a loro non potrà mai risolvere.

Toccherebbe ad altri Organismi Internazionali fare qualcosa di serio, come l’ONU e la FAO che manovrano grandi capitali per sistemare il mondo come vogliono; ma purtroppo riescono appena a sfiorare dall’esterno i grandi problemi che angustiano tante popolazioni.

I veri poveri che soffrono ricevono solo le briciole; eppure se qualcuno accetta di condividere la loro esistenza, di dare loro una mano, sanno riprendersi con coraggio.

In attesa di fare ancora meglio in futuro, noi abbiamo scelto questa strada concreta: fare qualcosa subito, anche se il problema è immenso e non riusciremo a risolverlo da soli. Siamo convinti che il bene si moltiplica se qualcuno ha il coraggio di cominciare.

Per questo P. Gaetano è partito. Ora è giù in Rwanda in mezzo ai rifugiati Barundi, e cerca in tutti i modi di essere loro di aiuto e di consiglio. Aspetto ancora sue notizie.
Intanto, dai doni che mi avete mandato in questi mesi, facendo un po’ di cifra tonda, gli ho mandato subito lire 350.000. Vedremo di non dimenticarlo!

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Una casa per Mamma Berta

E’ una pagina di sofferenza che è stata scritta da una famiglia travolta dalla tragedia Burundese. Siméon Rwabaye era un bravissimo funzionario del governo: Direttore Generale del Ministero degli Affari Sociali; benvoluto e stimato. Nonostante fosse di etnia hutu (muhutu), originario di Mabayi, zona povera e disprezzata, egli si era attirata la stima generale, tanto che aveva partecipato a importanti delegazioni del suo paese in Canada e in Europa.

Cambiavano i Ministri, ma lui rimaneva al suo posto. Aveva la coscienza pulita; faceva le cose per bene! Quando nel maggio del 1972 i Batutsi impazzirono e si misero a sterminare i loro fratelli Bahutu, anche Siméon ebbe un attimo di esitazione: “Scappare? Ma perché?”. Egli non aveva nulla da rimproverarsi! Perciò rimase, firmando in tal modo la sua condanna a morte.
Andarono nel suo ufficio a prelevarlo, i primi giorni di maggio e lo portarono via insieme a tanti altri impiegati, proprio come “agnelli condotti al macello”.

A casa rimaneva la moglie. Berta, con sei bambini ad attenderlo. A sera Siméon non tornò, perché dovevano interrogarlo.
Il giorno dopo sarebbe tornato a casa.  Ma invece del marito, il giorno dopo Berta si vide arrivare a casa i soldati che le intimarono di andarsene con i suoi stracci e i suoi figli, al più presto. L’interrogatorio non era stato necessario; poi, gli imputati come avrebbero potuto rispondere, tutti allineati in una fossa comune con la bocca piena di terra?
Berta prese i suoi figli e le sue poche cose e si rifugiò nel seminario di Bujumbura, per tutto quel lungo maggio di sangue. Passata la bufera consigliammo Berta di tornarsene a Mabayi; essa aveva un diploma di maestra e avrebbe avuto un posto di insegnante alla missione.

Passò un anno nell’incertezza. La pace non accennava a consolidarsi nel cuore della gente e nei rapporti tra le due Etnie. Dopo i terribili “avvenimenti” – così li chiamavano per reciproco timore – un dialogo sincero era impossibile. Altri disordini scoppiarono nella capitale Bujumbura, per cui Berta decise di andarsene dal Burundi. Non si sentiva di lasciare i figli in balìa degli assassini di suo marito.
Attraversò la foresta e fu subito in Rwanda, il paese amico vicino. La tragedia intanto aveva fatto pensare a qualcuno un progetto coraggioso: una maestra pensionata di Sondrio, Lena Marzi, chiese di poter contribuire all’educazione della figlia più grande di Berta, Fides Hatungimana; e di averla con sé qui in Italia. A un passo del genere ci siamo decisi solo dopo aver ben pesato gli aspetti positivi e negativi. Sappiamo anche noi i rischi che si corrono al giorno d’oggi, quando ci si propone di educare per lunghi anni una ragazza che viene da un mondo talmente diverso dal nostro.
Intanto Fides è venuta in Italia. Si è ambientata molto bene; studia e si comporta in modo veramente esemplare per una ragazza della sua età. A tredici anni non è facile capire la tragedia che ha colpito la propria famiglia e il proprio popolo.

Ma avrà tutto il tempo per studiare e prepararsi a dare il suo contributo per una liberazione dei suoi fratelli Bahutu, liberazione che presto o tardi si farà. Intanto però la situazione della sua famiglia si è aggravata. Ho ricevuto una lettera in cui la mamma di Fides dice di non sapere più come fare a tirare avanti. I suoi risparmi sono finiti. Il lavoro di maestra che aveva ottenuto, è terminato! Altri maestri Rwandesi hanno preso il suo posto; e adesso si trova sola, in un paese straniero, senza lavoro e senza casa, con cinque piccoli da mantenere. Per una donna africana non è possibile resistere a lungo in una situazione del genere.

La sua salvezza sarebbe un pezzo di terra e una casetta.
“Padre – mi scrive – non ho vergogna a riprendere una zappa; solo che mi trovi un angolo dove piantare le mie banane ….”!  

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Ecco quindi un nuovo caso urgente, e particolarmente caro.

Sono certo che per Pasqua, come già tante altre proposte, anche questa diventerà una bella realtà.
Qualcuno si è già mosso con impegno bellissimo. Ve ne parlerò!

Per la zona di Sondrio, ho pensato di ripetere l’incontro di preghiera a S. Lorenzo, dove le Suore sono felicissime di ospitarci; sarò dunque lassù a celebrare per voi l’Eucaristia il prossimo Sabato 22 marzo, alle ore 20,30 della sera.

A tutti un caro saluto e un potente augurio per la S.Pasqua.

Grazie di cuore!

P. Gianni