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Gerusalemme, giugno 1995

By admin | giugno 1, 1995

S H A L O M: sulle tracce di chi costruisce la P A C E

Gerusalemme, giugno 1995

Carissimi,

al termine di tre mesi di preghiera e di riflessione che ho passato a Gerusalemme, riprendo i contatti con voi in un momento importante della mia vita.Sto per celebrare 30 anni di Sacerdozio Missionario e ho cercato di verificare le mie scelte e il mio stile di vita, seguendo le tracce e le Parole di Gesù di Nazareth.

Che sberle, amici!

Credevo che, avvicinandosi al Signore, bastasse togliersi le scarpe come fece Mosè nel deserto, davanti al roveto ardente. Niente da fare! Stavolta mi ha strappato anche i vestiti, lemaschere e … la pelle!Non ho mai fatto nella mia vita una esperienza così forte dell’Amore e della Misericordia del Signore.

Non mi sono mai sentito così povero e peccatore e nello stesso tempo cosiamato e confermato nella mia Vocazione.Sono un po’ come quel cieco dalla nascita di cui parla il Vangelo di Giovanni. Gesù gli ha spalmato gli occhi con il fango e poi gli ha detto: “Va’ a lavarti nella piscina di Siloe … che significa INVIATO!” Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. (Gv 9,6-7)

FANGO… LUCE… MISSIONE. Ho capito meglio tante cose. E con gli occhi rifatti dalla luce di Gesù ho contemplato la mia vita piena di debolezze e di grazie; e ho rinnovato qui, sulla roccia del Golgota, il mio impegno a seguirlo come discepolo e amico. Ad essere come Lui, “pane spezzato” a disposizione dei fratelli.

Un paio di lettori fedelissimi di Shalom hanno conservato gran parte delle lettere che ho scritto agli amici a partire dal 1968 e me ne hanno fatto un dono prezioso.

Quasi con emozione sono andato a ripercorrere passo passo la mia vita di Missionario che mi ha condotto attraverso le più svariate situazioni in giro per il Mondo.

Trent’anni (1965-1995) sono un bel dono e una grossa responsabilità verso il Signore e verso tutti quelli che mi hanno sostenuto fin dall’inizio del mio servizio missionario. Siccome molti di voi si sono aggiunti alla nostra famiglia Shalom in date successive, ho pensato di sintetizzare alcuni momenti della nostra storia perché possiate capire meglio il significato di questa lettera che ogni tanto vi collega con il mondo della Missione.

Le tappe di una vocazione

Al di là della mia adesione personale, senz’altro necessaria, so bene che la chiamata alla Missione affonda le radici nella Fede di mia madre e nella fantasia di Dio che si diverte a chiamare al suo servizio chi vuole, prima ancora che uno se ne renda conto. Se guardate nella Bibbia troverete un sacco di esempi: da Abramo a Mosè, da Isaia a Geremia, e molti altri.

Già avviato sulla strada del Sacerdozio, fu nel Seminario di Como che incontrai splendide figure di Missionari che ci portavano ogni mese la loro testimonianza. Da qui l’idea di fare un salto di qualità, passando dalle retrovie del servizio nella Chiesa, cioè dalle parrocchie tradizionali, alla prima linea, cioè alla Missione. Ma il passaggio dal Seminario Diocesano di Como a quello delle Missioni Africane (così si chiamavano allora i Missionari Comboniani) fu un po’ contrastato. L’Africa era ancora troppo sconosciuta e faceva paura a mio padre, che aveva perso tanti amici nella guerra di Etiopia… (ci sarebbero voluti anni di pazienza e una visita personale in Burundi, con l’amico parroco don Giuseppe, perché la sua angoscia si trasformasse più tardi, nel 1971, in una partecipazione diretta e gioiosa al mio lavoro missionario).

Ero ancora all’inizio del mio nuovo cammino, nel primo anno di Noviziato, quando mio fratello Riccardo, in servizio volontario tra i Vigili del Fuoco, annegò nell’Adda (1960). Una prova molto dura per la nostra famiglia.Ci fu qualcuno che mi disse: “Vedi? Questa è l’occasione buona. Cambia la veste nera del Prete con quella bianca del Dottore; farai una barca di soldi e aiuterai la tua famiglia”.

Ma il Vangelo di Gesù era chiaro come il Sole: “Chi mette mano all’aratro e si volge indietro, non è fatto per il Regno di Dio”. E ancora: “Chi ama suo padre, sua madre e i suoi fratelli più di me, non è degno di me!”.

Furono momenti decisivi e il Signore ci aiutò ad andare avanti nel senso giusto.

Studiai Teologia a Roma nei primi anni ’60. Erano gli anni in cui i Paesi Africani, uno dopo l’altro, ottenevano l’Indipendenza dalle potenze Coloniali e potevano mandare all’Estero i primi gruppi di studenti.Con loro ho condiviso gli anni preziosi della Teologia all’Università Urbaniana.

Erano anche gli anni splendidi del Concilio Vaticano II, una Rivoluzione enorme nella Chiesa. Erano i tempi di Papa Giovanni che, dopo aver incantato il Mondo con la sua bontà, lo lasciava poi esterrefatto con la sua agonia, seguita in diretta-radio-tv da milioni di persone.

E’ a Roma che, a contatto con gente di ogni razza e colore, ho imparato a guardare il Mondo con gli occhi grandi del Comboni.

Milano, 26 giugno 1965:Ordinazione Sacerdotale. Poi … al lavoro!

Ad un Missionario, allora, si poteva chiedere di fare qualunque servizio di emergenza.

Non c’era molto spazio per discutere. Bisognava obbedire e basta; fu così che mi mandarono a insegnare Greco al Ginnasio di Crema; e, un anno dopo, a insegnare latino in Canada. Vere acrobazie al limite del buon senso (in effetti possedevo soltanto la formazione del Liceo); ma prezioso allenamento per il futuro della Missione.

A partire dal Dicembre ’68 sono entrato nell’orbita africana. E’ allora che ho fatto la scelta di mantenere i contatti con gli amici sparsi in Italia e con la Comunità Parrocchiale di S.Anna-Mossini (So) in modo diretto e concreto: io avrei celebrato ogni mese una S. Messa speciale per i sostenitori e avrei raccontato la vita e le attività della Missione in una lettera circolare (GAM’12).

Come impegno a sostegno della Missione proponevo un gesto semplice e accessibile a tutti: il salario di un’ora di lavoro da spedire in Africa ogni mese.Da allora il nostro dialogo è continuato ininterrotto. L’impegno della Comunità animata dalla grinta di don Giuseppe si è dilatato. Al primo gruppo iniziale si sono aggiunti tanti altri amici.

Sono stato successivamente in vari Paesi dell’Africa: dal Burundi, allo Zaire e in Kenya. Ho imparato le lingue, ho accostato popoli e culture affascinanti, ho sperimentato le varie fasi della Missione.

Ho vissuto in diretta il dramma razziale del Burundi, la dittatura di Mobutu in Zaire e le assurde contraddizioni del Kenya, un paradiso per i turisti europei e un inferno per milioni di baraccati. Si è trattato di un lento e coraggioso e paziente cammino con la gente, in situazioni a volte drammatiche.Ricordo in particolare l’esperienza del Burundi, quando dall’euforia delle masse che riempivano le chiese prima degli “avvenimenti” del 1972, siamo passati alla fatica di ripartire con umiltà, su basi più critiche e attente ai problemi gravi del Paese.Registravo nelle mie note di allora la sofferenza terribile provata da tutti quando,dopo il massacro di oltre 150.000 Bahutu (praticamente ignorato dalla stampa mondiale), il Governo metteva le basi militari e culturali per un assoluto predominio della razza Tutsi al potere: in pochi mesi Esercito e Scuole Superiori divennero il loro feudo incontrastato.

Noi Missionari abbiamo denunciato e contrastato alla base una manovra razzista così ingiusta. Abbiamo anche messo in guardia i Vescovi locali. Abbiamo scelto di aprire gli occhi alla gente e di coinvolgerla in scelte concrete di partecipazione a costruire il loro futuro, soprattutto attraverso la creazione di Scuole popolari e di piccole Comunità di base. Questo stile di missione rendeva la gente cosciente dei propri diritti e dava un fastidio enorme alla dittatura militare; perciò siamo stati espulsi neln1977!

Purtroppo ci volle molto tempo prima che la Comunità Burundese, in maggioranza cristiana eHutu, si rendesse conto del sistema razzista e ingiusto sul quale veniva impostata la società.

A quel tempo non si è avuto il coraggio di denunciare il male (l’appartenenza etnica come criterio di gestione della società) con il suo vero nome (apartheid razzista, proprio come quella imposta dai Bianchi in Sud-Africa) e di curarlo alla radice nella verità. Con il passare degli anni il problema si è fatto ancora più drammatico; il cuore dei politici sempre più duro. I massacri contro gli Hutu si sono regolarmente ripetuti, favorendo la nascita di un durissimo movimento di guerriglia, sostenuto dai molti rifugiati all’estero. La violenza che si è sviluppata negli anni seguenti e la reciproca incapacità al dialogo tra i due gruppi etnici, ha radicalizzato lo scontro politico e militare.

Intanto anche in Rwanda, dove invece i Bahutu erano maggioranza al potere fin dal tempo dell’indipendenza dal Belgio, stava maturando una tragedia identica. Purtroppo, accecati dalla paura di perdere il controllo del potere acquisito e avvelenati da una diabolica propaganda razzista, anche i Bahutu estremisti hanno rifiutato il dialogo e gli sforzi di pace.  La lunga storia di violenza ha prodotto il disastro del 1994 che tutti ormai conosciamo.

Fu proprio dopo la tragedia del 1972 che in Burundi abbiamo deciso di aprire la Missione ai Laici Volontari Italiani nell’impegno di ricostruzione che facevamo con la gente.

Il Gruppo di Africa ’70, Angelo, Luciano, Cesare e Antonia, Maurizio, etc., sono nomi di persone che insieme con noi hanno segnato la vita di Mabayi; fu qui che anche mio padre mi raggiunse – allora era un giovane pensionato – e trasferì la sua esperienza di muratore.

Italia-USA (1977-1980)

Dopo il Burundi c’è stato un intermezzo Euro-Americano interessante. Se ricordate, qui in Italia gli anni settanta furono anni di grande tensione sociale-politica e di scontri che lasciarono ferite profonde nella nostra Società. Li hanno chiamati gli anni di piombo. Durante il mio servizio di Animazione Missionaria (GIM) a Vengono Superiore il (Va), ho potuto fare un paio di esperienze molto forti.

Prima con il terremoto del Friuli, nell’estate 1976: nove settimane di impegno con oltre 350 Volontari mi fecero intravedere l’energia che circolava nei vari gruppi giovanili, sia quelli legati alle Parrocchie, sia quelli autonomi, tipo Croce Rossa, Comuni, Scouts, etc. Un vivaio ricchissimo di energie umane disponibili ad agire su proposte concrete.

Poi con il Servizio Laicato Missionario: un impegno nuovo ancora tutto da inventare. Ci siamo buttati con grinta e fantasia, ciascuno con le forze che aveva: Enrico, Mario, Clementina, Vittorio, Irene e Francesco, Marino e Bruna, Maria, Teresa e mille altri.

Molti misero tempo, lavoro, fatica e soldi.

Qualcuno lasciò casa, famiglia e carriera per impegnarsi a vita nel volotariato. Nella Comunità dei Gaggioli, a Castello Cabiaglio (Va), nonostante le paure e la resistenza delle istituzioni, abbiamo concretizzato un sogno che per alcuni aspetti era in anticipo sui tempi. Oggi l’idea è stata ufficialmente ripresa e realizzata dalla mia Congregazione; ma in quel lontano 1976, la nostra proposta faceva paura e fu bocciata.

Mentre il gruppo di famiglie coinvolte nel progetto si disperdevano in giro per il Mondo a dare corpo ai loro ideali, io fui mandato negli Stati Uniti a scuola, “per riaggiustare le idee”, mi dissero.

In America mi si sono allargati ancora di più gli orizzonti della Missione. Ho visto le contraddizioni assurde del mondo moderno simboleggiato nell’America del Nord, dove la ricchezza senza limiti genera sacche enormi di povertà, emarginazione e violenza. Classi sociali che si confrontano e si controllano a distanza, dominate dalla diffidenza e la paura; Chiese, Università, Collegi e Istituzioni di ogni genere che tendono tutte ad essere: “Top Class, Exclusive”, a gareggiare nella qualità dei servizi per attirare nuovi aderenti. Un mito pazzesco e costosissimo per una Società sempre più dura e selettiva. In America sta bene chi è ricco: “Guai ai Poveri; guai agli Ultimi”! Proprio l’opposto del Vangelo!

Nella ricca America del Nord ci sono oltre trenta milioni di poveri e il loro numero continuaad aumentare. Ma chi si preoccupa di loro? Purtroppo anche la Chiesa americana, sia quella Cattolica, sia le numerose denominazioni e sette protestanti, sono intrappolate – magari senza accorgersene – in quel sistema perverso che P. Alex Zanotelli chiama “l’Impero del Denaro”.

Fu nel Ghetto di Chicago, dove i Neri vivono ammassati in modo disumano, cheabbiamo fondato la Comunità SHALOM, un arcobaleno di persone che ha scelto di lavorare infraternità superando pregiudizi e divisioni causate da razza, sesso, cultura, fedi e Istituzioni ecclesiastiche di qualsiasi tipo. In un ambiente dove neppure la Polizia entrava volentieri a causa della violenza, la nostra Missione era soprattutto di “presenza e amicizia” accanto ad una umanità ferita, schiacciata dalla miseria e dalla paura.Ci guidava una donna nera: Hattie Williams, un’ autentica “povera” piena di Spirito del Signore.

SHALOM è diventato per noi uno stile di vita, una proposta di solidarietà che oggi ispira un bel numero di persone in giro per il Mondo a servizio dei poveri. Ecco perché la mia lettera circolare, inizialmente chiamata “GAM 12”, a partire da quella esperienza americana si è trasformata in SHALOM. Mi pare che il nome esprima bene il tipo di lavoro che insieme stiamo facendo.

Pausa italiana (1980-1982)

Dopo Chicago sarei dovuto partire per l’Africa. Invece la Celebrazione del Centenario della morte del mio Fondatore, Daniele Comboni, mi bloccò in Italia per un paio d’anni, proprio aLimone del Garda (Bs), suo paese natale. Fu durante questo periodo che ho potuto seguire mia madre ammalata di tumore, e accompagnarla fino alla morte.

Nell’ottobre dell’81 lei se ne andò in Paradiso; nel luglio seguente io e mio padre ce neandammo in Zaire.

Zaire (1982-1990)

Su un periodo di otto anni, ne passammo insieme più di tre, sempre ad Ango, nella diocesi di Bondo. Mentre lui dirigeva i lavori e faceva un sacco di cose utilissime, io mi sono immerso in una esperienza “classica” di missione nella savana, dove si operava su distanze di centinaia di kilometri. La missione era estesa come mezza Lombardia, con oltre cento Comunità-Cappelle da visitare e sostenere. Oltre al lavoro pastorale, i nostri impegni toccavano parecchi fronti: dalle scuole, alle strade, ai pozzi, agli ospedali.  Con l’aiuto di tanti bravi Volontari dell’Organizzazione SVI di Brescia, abbiamo tentato una sintesi intelligente tra Evangelizzazione e Promozione Umana in un Paese sull’orlo del collasso economico e politico.

Una sfida enorme. Per fare questo, accanto ai Padri e alle Suore, abbiamo creato uno spazioper i Laici Volontari (SVI di Brescia) che hanno coinvolto la gente in vari progetti di grandeimportanza sociale: risanamento dell’Ospedale, riparazione delle strade, creazione di una serie di cooperative agricole e artigianali. I frutti si stanno vedendo a distanza.Un tempo Ango era solo una povera e malfamata zona del Nord-Ovest, fuori dal mondocivile; oggi, in questo periodo difficilissimo per il paese, è forse uno dei luoghi dove la gente stalottando meglio per superare la crisi.

Famosa per tempismo e competenza è rimasta anche la spedizione dei dottori Zanchi eMaselli, nell’85, durante la quale una trentina di ciechi furono operati di cataratta e recuperarono la vista.

Purtroppo in questi mesi lo Zaire sta soffrendo moltissimo. La marcia verso la Paceinterna e la Democrazia è piena di ostacoli, di contraddizioni e di sangue. Ai primi martiridell’Indipendenza (anni sessanta) si sono aggiunti i nuovi martiri di questi anni di lotta per i diritti umani fondamentali; non sono mancati neanche i missionari che hanno pagato con la vita la loro solidarietà con i poveri. E’ di questi giorni la morte a catena di sei Suore Poverelle di Bergamo, travolte con la loro gente dal virus Ebola.

Un martirio senza aureola; una splendida fedeltà che è una lezione di speranza per il nuovoZaire.

Kenya (1991-1994)

Nel gennaio del 1990 ho chiesto io espressamente di essere trasferito in Kenya, anchese in Zaire restava un mare di lavoro da fare. A Nairobi, nella baraccopoli della periferia di Korogocho, P. Alex Zanotelli aveva iniziato da poco un modo nuovo di fare missione che andava oltre le abitudini e le strutture tradizionali. Si era buttato in mezzo ai poveri e condivideva in tutto la loro vita e la loro lotta.

Però era solo: non si trovava facilmente un compagno pronto a fare la sua stessa esperienza.

Alcuni lo ammiravano, parecchi lo criticavano; ma nessuno si decideva a buttarsi con lui. Una sfidadel genere mi sembrava un dono troppo bello, da non perdere. Così sono partito.

Dello stile di presenza e del lavoro avviato a Korogocho sapete già abbastanza dalle ultimelettere. Ai primi di marzo ho lasciato P. Alex e P. Antonio insieme con Gino Filippini, il volontario bresciano, impegnati al limite delle loro forze. Ad essi si è aggiunta una Suora Comboniana, Marta piena di energia; altri Volontari si stanno preparando a raggiungerli in futuro.A me hanno concesso un tempo di preghiera, studio e riposo; un anno “sabbatico” che coincide proprio con il trentesimo anniversario della mia Ordinazione Sacerdotale.

E per una coincidenza che raddoppia la mia gioia, quest’anno è anche il Trentesimoanniversario della Fondazione della mia piccola Parrocchia di Mossini- S.Anna, alla periferia diSondrio. Siamo nati insieme e cresciuti insieme, ci siamo sostenuti fraternamente in questo lungocammino, di cui vi ho ricordato le tappe principali.

Senza questa Comunità alle spalle, la mia missione avrebbe perso una dimensione molto importante.

Con la mia gente e i miei amici vorrei trovarmi a ringraziare il Signore per questi trent’anni di vita missionaria, un dono grande che mi avete aiutato a condividere.

Parecchie persone hanno fatto cose belle per Shalom, fin dall’inizio e lungo tutto il cammino; i loro nomi restano un segreto tra me e il Signore. Io continuo il mio impegno e il 12 di ogni mese celebro la S. Messa per tutti gli amici e i sostenitori. Voi non dimenticate il vostro!

Ogni volta che il Signore vi attraversa la strada e vi confronta con una situazione disofferenza materiale o spirituale, non tiratevi indietro. La missione, ve ne siete accorti, non ha più confini e ci sfiora ogni giorno. Dovunque ci troviamo.

Fedeli allo stile di Shalom, vi auguro di essere “pane buono, pane spezzato” per saziare la fame dei poveri, come è stato Gesù di Nazareth per tutti noi.

Forza a tutti: SHALOM!

Padre Gianni

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