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Mabayi (Burundi), 20 Marzo 1973

By admin | marzo 20, 1973

G.A.M. ’12 UN IMPEGNO EFFICACE AL SERVIZIO DELLA VITA
Mabayi (Burundi), 20 marzo 1973

Carissimi amici,

vi scrivo da una succursale dove mi trovo per i Ritiri Pasquali. E’ già da un mese che siamo in ballo per preparare la Pasqua e ci restano ancora cinque settimane a ritmo serrato.
La Quaresima mi ha sorpreso con il cuore amareggiato per la partenza di mio padre, dopo soli due mesi che si trovava a Mabayi. Avevamo programmato di passare insieme una lunga stagione africana e di rientrare in Italia alla fine di quest’anno. Tutto sembrava filare alla perfezione.
A tempo di record era riuscito a sistemare la seconda parte dell’immenso tetto della Chiesa, poi un gran pavimento della nuova falegnameria. La lista dei lavori era lunga; ma in pochi mesi avrebbe sistemato parecchie cose! Gli operai erano contenti e lavoravano con impegno; imparavano anche un po’ di trucchi interessanti. E per noi era un grosso sollievo poterci dedicare alle nostre occupazioni di preti, sapendo che le costruzioni erano nelle sue mani.

Nonostante il difficile Kirundi, gli bastava poco per farsi capire. Salute ottima; morale buono; e, inoltre, la certezza che a casa, lassù in Italia, tutto filava per il meglio. Invece no! Proprio da casa è arrivato un brutto telegramma a rompere l’incanto: il nonno Ulisse, che a giorni avrebbe celebrato i novant’anni, si era spento improvvisamente!
Papà Aldo ha deciso di rientrare.
A noi e ai nostri amici e dispiaciuto molto; ma speriamo che qualcun altro prenda presto il suo posto.

Domenica sera, tornando dalla succursale di Rubona, ho portato al dispensario una ragazza; forse due settimane fa era bella; ora è distrutta fisicamente e troverà difficilmente un marito. L’ho scoperta per caso, andando a visitare un ammalato. Ero con un catechista e un altro giovanotto, pratici della zona.
Seduto davanti alla sua capanna, senza forze, intontito dalla malaria, ho trovato un uomo sulla quarantina. Solo! In casa nessun segno di vita. Un cane, magro e peloso gli faceva compagnia. Lo salutammo, ma non mostrò molto entusiasmo; sua moglie, che stava coltivando nei campi vicini, ci mandò un saluto e si affrettò a raggiungerci.
Non erano stati avvertiti, perciò si scusò di non avere pronta un po’ di birra da offrirci.
Restammo insieme a parlare quasi un’ora. Il malato non era grave. Mi chiese delle pillole e promise di venirmi a trovare alla Cappella. Stavamo per ripartire, quando l’uomo accennò a una figlia ammalata.
« Ammalata di che? » – gli chiesi.
« E’ un brutto male! – spiegò il catechista – Si getta per terra, sembra pazza, fa paura. Tempo fa è caduta nel fuoco.
« Sarà epilessia » – pensai fra me -. Ma volli saperne di più.
« Dov’è ora? ».
La risposta non è stata pronta. Anzi ho notato un certo disagio!
« E’ li, in casa!
« Posso vederla? – provai a insistere.
« Se vuoi, entra pure! ».

Nonostante il tramonto vicino, la luce che entrava nella stanza era sufficiente; per terra su una vecchia stuoia, ho visto un corpo avvolto in uno straccio rosso. Anche la testa era tutta ricoperta, e mi domandavo il perché, mentre allungavo il braccio per scoprirla.

E’ stato un istante terribile, di cui ora sento ancora l’amarezza.

Credevo di scoprire una ragazza sofferente; ma una ragazza… Invece ho visto un mostro lebbroso; una zaffata nauseante mi è entrata nell’anima attraverso gli occhi e le narici e sono scattato in piedi stravolto.
« Cosa?… – Ho quasi urlato in faccia alla mamma -.
« E’ questa tua figlia? ». Mi ha guardato, mortificata, impaurita forse dal mio sguardo severo; non sapeva cosa dirmi. Anche un’altra donna e due ragazze si erano avvicinate alla soglia; guardavano la scena, tenendo la mano sulla bocca per lo stupore e la tristezza!

Stringendo i denti mi sono ripiegato su quel povero corpo.
Mi è bastato un attimo per rendermi conto quanto il fuoco l’aveva distrutto: del volto restava intatto solo un po’ della fronte; gli occhi e il naso appena accennati sopra la bocca sanguinolenta! Le labbra erano sparite!

E giù sullo stomaco, da una spalla all’altra, una piaga orrenda, invasa dal pus. Una mano magrissima, lentamente, tentò un gesto di pudore… ma anche i seni erano divorati. La carne corrosa presentava segni di putrefazione avanzata.
Arrischiai una domanda: « Mi senti? Sono il Padre! ».

La poveretta mi rispose con un lamento.
Ma non potevo resistere oltre. La ricoprii del suo straccio. Le misi una mano sul capo e le sussurrai: « Coraggio, domani verrai con me, dal dottore! ». E sono uscito fuori, all’aria, a smaltire la nausea che mi aveva preso tutto.
Questo è solo un fatto. L’ultimo e più amaro che mi è capitato. Ma ogni giorno siamo testimoni di tanti « segni » di un paganesimo che è ancora incarnato nei costumi della nostra gente, di un fatalismo pauroso di fronte alla disgrazia, alla malattia e alla sofferenza.

La vita di un figlio vale ancora poco.
E non solo quella di un figlio. Anche quella dei genitori, dei fratelli. Qui si fa ancora troppo poco per salvare una vita. Per questo c’è da dubitare che il Cristianesimo sia entrato nel cuore della gente.
Ognuno pensa alla sua vita, alla sua pelle. Si rassegnano in due minuti di fronte a qualsiasi malattia, dopo averla attaccata con mezzi ridicoli.

A noi dispiace; ma sappiamo bene che educare alla vita è un lavoro lunghissimo e delicato. E’ come un mosaico dove tanti uomini di buona volontà mettono la loro tesserina. Sperando che attacchi. Che resti lì, almeno per un po’ di tempo; e che qualcuno sia un po’ più felice.
Scusatemi se ho perso il passo! Avevo scritto una lettera oltre un mese fa; ma mi sono accorto che ero troppo entusiasta, e che la realtà era molto più amara. Soprattutto per la nostra gente. E quello che scopriamo è troppo poco.
Per ora buona Quaresima!

A presto gli Auguri di Pasqua. Ciao a tutti. Grazie.
Vostro p. Gianni

Topics: '68 - '73 Burundi, Lettere Pasqua | No Comments »

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