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Bujumbura (Burundi), Ottobre 1969

By admin | ottobre 30, 1969

G.A.M. ‘12. UN IMPEGNO EFFICACE AL SERVIZIO DELLA VITA

Bujumbura (Burundi), ottobre 1969

Carissimi,
come al solito tutto bene. Il lavoro sta prendendo il ritmo normale, cioè pieno: dalle 6 del mattino alle… di sera.
Come se fare il Prete non bastasse, adesso mi tocca anche manovrare registri di economia, seguire operai, cuochi e falegnami. Distribuire vestiti e strumenti di lavoro; cambiare l’olio dei vari motori e, soprattutto, stare attento che i viveri non manchino. ‘
Nulla di straordinario di per sé; ma ho l’ impressione che dove metto le mani per la prima volta le cose non filano più alla perfezione. Così è stato per l’auto, così è stato anche per l’acquedotto. Abbiamo lavato i tubi per eliminare la sabbia che si deposita all’interno; quando poi si è voluto far riprendere il flusso dalla sorgente verso il serbatoio, non c’è stato verso. L’acqua rinunciava allo sforzo e se ne andava per una via più comoda giù per la valle. !
Ci sono voluti 3 giorni di tentativi e di trucchi per costringere l’acqua a riprendere il giusto cammino. Intanto il grande serbatoio s’era svuotato, costringendo la gente della zona a riprendere le abitudini di sempre: zucca o pentola in testa e una passeggiata fino al torrente.

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PASTICCI
Una sera arriva alla Missione un giovanotto. Ha l’aria stanca di uno che ha camminato per ore e ore. Non ha voglia di parlare e mi porge un biglietto; subito mi rendo conto che la notizia è seria. In una succursale, a Nyamihana, il fuoco ha spazzato via le scuole, il catecumenato e varie capanne.
Solo la Chiesa, in muratura, è rimasta in piedi. Il governo non vuole che alla fine della stagione secca si brucino le erbe della savana, perché il rischio è sempre grave; difatti stavolta il fuoco ha superato ogni resistenza e ha scorrazzato per le colline.
E’ una lezione che ricorderanno per un pezzo.

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SAFARI
| Anche se il nome è un po’ esotico, “safari” in pratica vuoi dire «viaggio». Nelle riserve e nei parchi Nazionali i safari sono una grossa attrattiva turistica per l’Africa, ma per noi missionari restano sempre dei semplici viaggi di lavoro.
A piedi o in auto, nella «brousse» ( la savana) o sulle montagne, questo aspetto itinerante della vita missionaria rimane il più vivo e appassionante. Tale del resto era anche la vita degli Apostoli e dei primi annunciatori del Vangelo che percorrevano con ogni mezzo le grandi strade Romane e i polverosi sentieri dell’Oriente.
Nelle Missioni classiche il safari del Padre è una cosa seria. E’ annunciato per tempo ed è l’occasione più adatta per sentire il polso di una comunità cristiana; per vedere fin dove il Vangelo ha fatto presa nel cuore della gente e se alla Fede ricevuta corrisponde la pratica cristiana della vita.
Nella situazione attuale riusciamo a vedere i cristiani delle Comunità succursali forse 4 volte l’anno. Per il resto del tempo tutte le attività di istruzione e di culto sono lasciate alla responsabilità dei Catechisti. Senza di loro noi Padri non faremmo un decimo di quello che si fa e il nostro correre non avrebbe senso. Qui in Burundi, come altrove, i Catechisti sono davvero i pilastri di tutta “l’impalcatura” cristiana e fanno davvero cose grandi. Ma la visita periodica del Padre ci vuole per dare un senso di unione fraterna con la Missione centrale.
Questo mese sono stato a Rubona, una succursale con neppure 200 cristiani. Era la prima visita e non conoscevo il posto. Ho attraversato una bella pianura disabitata, finché, lontano, sulla cresta della montagna ho visto un boschetto di eucaliptus: « Deve essere lassù! » mi son detto.
Un vecchietto che mi vede scrutare l’orizzonte me lo conferma. « Padre, devi andare fino lassù; ma fa’ attenzione perché la strada è brutta! ».
Anche P. Mario mi aveva avvertito: «Sta attento ai ponti! Sono mesi che non ci passa nessuno ».
Per evitare brutte sorprese mi fermo e carico 3 giovanotti. Quelli accettano, forse più per il piacere di fare un viaggetto in auto che per la prospettiva di aiutarmi in caso di difficoltà.
Arriviamo al primo ponte. Erbacce e muschio lo hanno invaso da tempo, e i tronchi non mi convincono troppo. Arresto l’auto e faccio scendere tutti.
« Aspettate! Sarà meglio che passi da solo ».
Prima però voglio vederci chiaro. Controllo i tronchi ad uno ad uno e, infatti, forzando un po’ con il piede, quello nell’estrema sinistra va in pezzi ed è trascinato via dall’acqua.
Fingo di arrabbiarmi e li sgrido: « Visto? Bel lavoro che fate! Volete proprio che il Padre finisca nel fiume? ».
Ma c’è abbastanza spazio da passare, con un po’ d’occhio e molta calma mi trovo dall’altra parte. Per brullo e l’erba della savana era tutta arrostita dal sole. Tutti gli anni è così; quando scarseggia l’erba per le bestie, è tempo di rinnovare i pascoli. La tecnica è quella usata da secoli in tante parti dell’Africa: bruciano tutto. Il fuoco passa come una falciatrice enorme che divora in un soffio distese incredibili.
E’ un metodo un po’ sbrigativo, avrà i suoi vantaggi senza dubbio, ma comincia ad essere pericoloso per le coltivazioni che si sviluppano sulle colline.
Bruciare la savana è proibito; ma chi può impedirlo? E’ un’abitudine ormai radicata nella vita della gente, risparmia loro tante fatiche e non manca del suo lato spettacolare.
Durante una visita alla succursale di Gasarabuye, mi è capitato di assistere a un duello tra il fuoco e la popolazione: vi assicuro che è affascinante. Siamo riuniti a consiglio con i capi collina e i più anziani della zona, quando sentiamo il crepitare secco e lontano delle fiamme.
Arriva un ragazzo trafelato: “Padre, venite tutti presto, il fuoco vuole mangiare tutto il nostro caffè! ».
Ci precipitiamo subito.
Settecento metri quasi di corsa per arrivare sul luogo dell’incendio. C’è già tanta gente. I più giovani prendono le cose quasi scherzando, ma gli anziani guardano preoccupati le fiamme che scendono decise dai fianchi di una collina già tutta carbonizzata e avanzano diritte verso i campi di caffè.
Il vento è forte, perbacco, e turbini di fuliggine ci investono, la mia veste bianca comincia a tingersi di cenere.
Sì e no un metro di distanza separa le alte erbe dalla piantagione. In questa esile striscia di terra tutti prendono posto: uomini e giovanotti, ragazzi e mamme, con il solito bambino attaccato alla schiena, e perfino molte vecchiette coraggiose; una vera barriera umana.
Armati di rami di eucalipto e di morbidi tronchi di banano, attendono con calma che le fiamme arrivino a tiro; poi, di slancio e tutti insieme si gettano sul fuoco: con grida di incitamento e ad un ritmo indiavolato tempestano le fiamme di centinaia di colpi, proprio come fosse un serpente. « Che fegato perdinci! ».
In breve il pericolo è scongiurato; e mentre noi ci ritiriamo sudati e sporchi, il fuoco continua più lontano la sua corsa lenta e implacabile nella savana.

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Ho già avuto notizia che nella gioia delle vostre vacanze non vi siete dimenticati del lavoro che qui continua senza sosta. Ho ricevuto anche cinque bei pacchi dei vestiti che mi avete mandato; si vede che c’è dello stile anche nei vostri doni, e vi ringrazio. La base di Sondrio è sempre a vostra disposizione anche per informazioni di ogni genere; scrivete pure lassù, che sono in gamba.
Vi assicuro il mio fraterno ricordo e la mia preghiera.
Ciao a tutti. Forza G.A.M.! Un grazie potente a tutti.
P. Gianni

Topics: '68 - '73 Burundi | No Comments »

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