« | Home | »

Kinshasa (Zaire), 5 settembre 1984

By admin | settembre 5, 1984

S H A L O M … sui sentieri di chi costruisce la P A C E !

Kinshasa (Zaire), 5 settembre 1984

Carissimi,

proprio come oggi, centoventi anni fa, il Vescovo Daniele Comboni si metteva a tavolino a scrivere il suo «Piano per la Rigenerazione dell’Africa».
Sembravano utopie irrealizzabili e illusioni di un giovane prete innamorato dei Neri: «I più abbandonati dell’Universo» come lui li definiva. Di fatto erano pagine rivoluzionarie e profetiche. Forte della sua esperienza diretta e stanco di vedere tanti Missionari e Missionarie distrutti nei fiore degli anni, Comboni condensò la sua strategia in una frase diventata classica per chi si
intende di Missione: «Salvare l’Africa con l’Africa!».

Un piano del genere oggi ci pare logico e pieno di buon senso; ma a quei tempi sembrava invece l’illusione di un povero missionario. Mentre Comboni sognava di vedere gli Africani protagonisti della loro Storia, le grandi potenze Europee scorrazzavano da padrone in tutto il Continente e se lo spartivano secondo i loro interessi.

Quando il Comboni moriva a Khartoum nel 1881, (a soli 50 anni) a Roma un giovane studente di Teologia, Daniele Sorur, ex – schiavo riscattato dal Vescovo, era ormai a un passo dal Sacerdozio.

Il sogno si faceva realtà. E dopo quel primo prete sudanese, quanti altri giovani in Etiopia, Uganda, Kenya, Ghana, Zaire e tanti altri paesi africani hanno scelto la stessa strada. Per merito loro la Chiesa d’Africa è passata da una posizione di ultima della classe a quella di protagonista al passo delle altre giovani chiese.

Se vi ho parlato di questo importante Anniversario è per un motivo anche personale: ho visto con i miei occhi che il Piano del nostro Daniele si sta realizzando in modo assai promettente. Ho passato tutto il mese di agosto nella capitale, Kinshasa, a fare l’interprete per i miei confratelli Comboniani, radunati in Assemblea straordinaria a studiare il problema delle Vocazioni religiose in Africa. Si tratta di un fatto nuovo e stimolante: parecchi candidati chiedono di entrare a far parte delle Congregazioni Missionarie. Chiedono di condividere la nostra vita e il nostro servizio Missionario, disposti anch’essi a partire per un servizio al Vangelo al di fuori del loro paese e della loro cultura.

Non è una scelta da poco se valutata nel contesto odierno. I giovani Africani stanno scoprendo il fascino della vita moderna con tante proposte smaglianti: lavoro, denaro, libertà di movimento, studi, possibilità di carriera amministrativa e politica. Chiunque abbia un po’ di mezzi, di intelligenza e di ambizione può tentare strade interessanti. I giovani lo sanno.
Sanno che l’Africa ha bisogno di tecnici e di insegnanti, di medici, ingegneri, politici e commercianti … ma sanno che la loro Africa ha bisogno anche di leaders dello Spirito, di uomini nuovi, di cittadini che amino il popolo e siano disposti a servirlo senza interessi ambigui.
E’ bello constatare che in numero crescente c’è chi sceglie la strada del servizio agli altri nello stile del Vangelo.

«E’ il tempo degli eredi … è il nostro tempo», scrivono alcuni teologi africani liberati ormai da un complesso di inferiorità nei confronti delle antiche potenze coloniali Politiche e Ecclesiali. Hanno ragione e vanno incoraggiati. L’eredità è al tempo stesso un onore e un impegno per le nuove generazioni; assumerla equivale a diventare protagonisti della loro storia.
Tutto sommato gli Africani, parlo soprattutto dei cristiani impegnati, si stanno comportando bene.

Nel tempo che sono stato a Kinshasa ho potuto verificarlo di persona, incontrando alcuni fra i protagonisti più qualificati della Chiesa Zairese: il Cardinale Arcivescovo Malula, il Vescovo Monsengwo, presidente della Conferenza Episcopale, e Mons. Matondo, fondatore dei «Bilenge ya Mwinda», un movimento giovanile di grande efficacia. Accanto a loro parecchi laici competenti e un mare di gente impegnata.

Già da parecchi anni i Vescovi dello Zaire si sono fatti notare per la saggezza e il coraggio dei loro interventi al Sinodo di Roma sull’Evangelizzazione (1974) e agli Incontri Internazionali di Teologia. Maturati dalla travolgente avventura del Concilio Vaticano II e dal confronto diretto con gli altri Vescovi dei cinque continenti, oggi, forti anche della loro personale esperienza pastorale, si sentono pronti ad offrire delle proposte concrete nell’impegno comune di inculturare il Vangelo.

Inculturazione è oggi una Parola di moda in tutte le discussioni che si fanno a riguardo della Missione, e con essa si vorrebbe dire una quantità di cose importanti. In pratica si vuole sottolineare che l’Africa ha il diritto e il dovere di riesprimere il Vangelo, di proclamare la sua Fede e di Celebrare i Sacramenti della Salvezza con linguaggio, simboli e riti adatti alla sua ricca tradizione culturale. Ma non si tratta solo di pregare all’Africana; infatti celebrare la Fede in un contesto liturgico è relativamente facile e ci sono già delle esperienze stupende. Non si tratta neppure di
dipingere di nero un Cristo venuto da lontano; si tratta piuttosto di rendere possibile al Cristo di incarnarsi “oggi”in questa Africa nuova, di assumere l’identità e la vita
di questi popoli in cerca di salvezza e di libertà.

L’Evangelizzazione in Africa ha più o meno un secolo di storia; il patrimonio delle esperienze è ancora limitato; perciò sarebbe ingiusto pretendere risultati perfetti in poco tempo. Ma vi assicuro che, per quel poco che ho visto, l’Africa sta camminando bene.

Vi porto un esempio.
Sono stato a celebrare la Festa della Madonna Assunta in una Comunità dove il Parroco non è un Sacerdote, bensì un bravo papà di famiglia, con tanto di moglie, figli e un lavoro dipendente come gran parte dei suoi fedeli. In lingala lo chiamano «Mokambi», che significa: «Guida».

Di fronte al Vescovo è lui il vero responsabile della Comunità cristiana. Tre anni di studi di Teologia e di Pastorale gli permettono di affrontare i diversi problemi della comunità alla pari e in armonia con i Sacerdoti. Notate bene che per il servizio che compie non riceve un salario, come non sono pagati i suoi collaboratori. Nelle parrocchie guidate dai Bakambi (a Kinshasa ce ne sono già una quindicina), tutte le attività principali sono portate avanti da responsabili laici, cioè dalla gente comune: lavoratori, impiegati, maestri, mamme e papà di famiglia e perfino studenti o disoccupati. Il prete è presente come l’uomo dell’ Eucaristia, l’animatore del cammino spirituale della Comunità. I fedeli non sono più una massa anonima; ma ciascuno, secondo le sue forze e il suo tempo, la sua preparazione e la sua sensibilità, prende a cuore un settore o l’altro della vita comunitaria: chi insegna la Catechesi ai bambini, chi prepara le giovani coppie ad un matrimonio responsabile, chi sostiene un gruppo di preghiera. Chi segue i poveri, chi anima la corale.

L’importante è che ciascuno faccia qualcosa per la sua comunità; altrimenti – sia chiaro – non si consideri un vero cristiano.
I risultati non mancano sia a livello di impegno di vita, che è la cosa più importante, sia a livello di celebrazione liturgica comunitaria.
Vi assicuro che con quella gente ho celebrato delle Messe straordinarie. Vengono a pregare come ad una festa cercata con gioia. Non stanno impalati e silenziosi a sentire e a vedere cosa fa il prete; ma partecipano con impegno, cantano e danzano, pregano sicuri e convinti. E i doni che offrono sono davvero sudati e preziosi. La chiamano la “Messa in rito Zairese”, uno dei migliori tentativi ben riusciti di Inculturazione della Fede in Africa.
Il Cardinale Malula, Arcivescovo di Kinshasa, che lo ha iniziato dieci anni or sono, ne è entusiasta. Come è entusiasta dei suoi Bakambi, i Parroci Laici, i primi esempi di nuovi ministeri ai quali presto se ne aggiungeranno altri.

I Vescovi dello Zaire vogliono che il Popolo si prenda la sua responsabilità e condivida con i Sacerdoti il peso della Comunità e dei servizi necessari. Proprio come nei primi secoli della Chiesa.

Stimolati da questo esempio anche noi, nelle nostre piccole comunità sperdute nella savana cerchiamo di seguire queste tracce; ma è un lavoro che richiede una pazienza infinita.

* * *
Fra pochi giorni ritorno in Missione ad Ango. P. Paolo mi aspetta con impazienza, perché manco ormai da quasi due mesi, e c’è un mare di cose che aspettano di essere riprese in mano con nuova energia: la scuola, il Catecumenato, le visite alle Comunità lontane, la formazione dei Catechisti.

Per i lavori piccoli e grandi sarà un po’ dura perché non c’è più papà Aldo che sapeva mettere le mani bene e dappertutto, dalle costruzioni, alla piantagione del caffé, all’orto e alle mille cose necessarie in una grande Missione. La sua sola presenza teneva un po’ svegli i pochi operai che abbiamo; ma il mese di giugno scorso è dovuto rientrare improvvisamente in Italia, perché una dissenteria amebica se lo stava consumando e gli aveva tolto ogni energia.

Comunque due anni filati senza intermezzi di vacanza o altre evasioni sono un bel colpo per un uomo di oltre 70 anni che, anche in Africa, iniziava la sua giornata lavorativa di primo mattino e la chiudeva al calar del sole. La sua più grande fatica però non era quella di impilare mattoni, bensì quella di accettare il ritmo lento e a singhiozzo dei suoi operai, e di ripetere ogni giorno, sempre da capo, le stesse cose.
« Non è possibile; non si può continuare così – si lamentava – prima di vedere qualche frutto ci vorranno mille anni! ». Però non mollava.

L’Africa, da questo punto di vista, è davvero un po’ dura e scoraggia chiunque pretenda di cambiarla in fretta e con la forza.
Va accettata e amata così com’ è; i cambiamenti vanno proposti con forza e coraggio, d’accordo; ma la trasformazione avverrà solo lentamente e nell’ambito di un processo globale. Le abitudini e i ritmi di lavoro cambieranno quando contemporaneamente cambieranno tante altre cose, dal salario al cibo, all’educazione, alle cure sanitarie, al senso della vita.
Sarà proprio una cultura rinnovata e arricchita da uno scambio fraterno di aiuti e esperienze di tutti i popoli, una cultura di Pace, a produrre un nuovo stile di vita e di lavoro in Africa e nel Mondo.

Peccato che siano in pochi a impegnare la vita in questo senso. E’ arrivata anche a noi l’eco di tante discussioni che si fanno in Italia e in Europa per la Pace e la Fame nel Mondo. Speriamo che ai discorsi seguano i fatti. Mi ha colpito uno slogan particolare che dice: «Contro la Fame … cambia la vita!». Mi pare una proposta sana e concreta, che vale anche contro la Guerra e tutte le cattiverie che rovinano la vita del Mondo. Forza dunque, c’è lavoro per tutti.

Intanto vi ringrazio per quello che fate per noi. I vostri aiuti ci arrivano regolarmente e ci permettono di camminare, a fatica talvolta, ma sereni. A risentirci … un po’ più presto.

Forza anche a voi. Shalom!
Vostro P. Gianni

Topics: '82 - '90 Congo | No Comments »

Comments

Stampa questo articolo Stampa questo articolo