« | Home | »

Isiro (Zaire), Santo Natale 1984

By admin | dicembre 25, 1984

S H A L O M … sui sentieri di chi costruisce la P A C E !

Isiro (Zaire), Santo Natale 1984

Carissimi,

incomincio questa lettera natalizia sotto un uragano di acqua e di grandine che si sta rovesciando sulla città. Sembra che il cielo voglia lavare persino il ricordo del sangue sparso anni or sono su questa terra.

Vent’anni fa esattamente a quest’ora (24 novembre ’64) veniva fulminato con un colpo di pistola il comboniano P. Remo Armani. Nella sua ultima lettera del 7 ottobre del ’64 egli scriveva: «Noi restiamo ai nostri posti qualunque cosa accada. Il Signore sa che siamo là. E la gente ci vuole bene!».

La decisione di restare nonostante il pericolo evidente, era stata presa con serietà e coraggio da tutti i missionari che si erano trovati coinvolti nella famosa rivoluzione dei Simba, sviluppatasi nella Regione Nord-Orientale dell’ex-Congo Belga. Pure nella difficile situazione Padri e suore avevano continuato il loro servizio con un certo margine di libertà. Purtroppo il dramma è scoppiato quando i Paracadutisti belgi hanno deciso di intervenire con la forza per liberare i prigionieri bianchi tenuti in ostaggio nei centri più importanti della Regione.
A cominciare da Kisangani, la capitale, e poi su su verso Isiro e Watsa, etc … i Paras piombavano dal cielo e operavano fulmineamente. Dietro a loro avanzava l’armata nazionale congolese per riprendere in mano la situazione. Era logico che i Simba riversassero sui Bianchi, «belgi e americani» – ci tenevano a precisarlo – la rabbia e la delusione per la sconfitta.

Così il sangue dei missionari si aggiungeva a quello di innumerevoli vittime innocenti: bianchi e neri, senza più distinzione, pagavano insieme il prezzo degli errori commessi prima dell’indipendenza.

A Isiro gli ostaggi, missionari e no, erano stati radunati nel Convento delle Suore Domenicane; i Simba cercavano il testo di un messaggio segreto sull’arrivo dei Paracadutisti belgi. Erano nervosi e preoccupati. E’ bastato un niente per scatenare il massacro.

A Rungu, sessanta kilometri più lontano altri missionari italiani e belgi, approfittando di uno sbandamento generale tra i ribelli, si erano rifugiati nella foresta. Poi, per evitare rappresaglie contro i cristiani più in vista, avevano preferito consegnarsi di nuovo ai Simba. Ai primi di dicembre sei Padri furono fucilati e gettati nel fiume. Un fratello, soltanto ferito alla spalla, si salvò per miracolo; le Suore furono risparmiate di proposito.

Tra le vittime illustri di quel tempo anche una Suora Zairese, che oggi è un po’ il simbolo di una chiesa maturata nella prova: si chiama Anwarite, ed è seriamente candidata alla Beatificazione.

Per noi il ricordo di questi martiri è sofferto, ma sereno. Sappiamo molto bene che prima o poi il prezzo è chiesto sia a chi annuncia il Vangelo, sia alla Comunità che lo accoglie.

Così è stato in Zaire, come già prima in Sudan e poi ancora recentemente in Uganda. Anche noi Comboniani abbiamo ormai una lunga lista di martiri. Se uno di noi muore, è naturale che il dolore sia forte; ma quando si decide di condividere la sorte della gente fino in fondo, neanche il martirio è più una sorpresa.

Fa parte del contratto.
E’ una clausola che ogni tanto il Signore applica per purificare il cammino della Missione. In fondo ci ricorda che tutta la nostra storia ha origine da un Cuore spezzato da una lancia.

* * *

«Se avete una briciola di Fede … vedrete cose grandi!».

Maggio 1984

Sto filando veloce sulla strada Isiro-Niangara; davanti a me una lunga giornata di sole e di fatica prima di arrivare alla Missione di Doruma.

A mezzogiorno mi arresto ad un bivio. Un mercatino volante offre un po’ di frittelle e due ananas; proprio quello che ci vuole per calmare fame e sete d’un colpo solo. Mentre sto contrattando I miei acquisti mi sento chiamare, quasi con timore: «Mon pére…!».

Mi giro e scruto negli occhi un giovanotto un po’ impacciato: «Cosa c’è?». – «Vieni, Padre; un bambino sta per morire… vieni a pregare su di lui!».

La casa è a due passi di fronte. Mi fanno entrare in una stanza dove, insieme a tante gente, si sente il peso di una tristezza grande. Intravvedo un bimbo sui quattro-cinque anni, metà adagiato sul letto e metà in braccio ad una donna: è la posizione tipica riservata ai moribondi.
Gli occhi della gente sono umidi di pianto.

Da due giorni il bimbo è in coma e non parla, non apre gli occhi, non risponde più a nessun richiamo. La fronte scotta: può essere malaria cerebrale o addirittura meningite. E’ finita. Mi mostrano alcune fiale che una Suora infermiera di passaggio ha lasciato due giorni prima… Ma io cosa posso fare? Non posso illuderli con parole inutili o false.

Mi siedo sulla sponda del letto, prendo una mano del bambino e mi rivolgo ai genitori; piano, pesando le parole … «Questo bimbo è già lontano; il Signore della vita lo sta chiamando. Però proviamo a parlargli… insieme …con fiducia, senza paura. Se Lui vuole può restituirci il bambino!».

Non ricordo per quanto tempo siamo rimasti insieme; ma ricordo le mani alzate, gli sguardi pieni di speranza, la sofferenza di tutti.
Abbiamo pregato, da cristiani, con fiducia. E poi via. Con le labbra serrate, il cuore grosso e la convinzione di aver benedetto un bambino che già vedeva la faccia di Dio.

Novembre 1984

Sei mesi dopo sono di nuovo su quella strada Isiro – Niangara, stavolta diretto a Dungu, per un importante raduno. Manca poco al tramonto e cerco di filare veloce. E’ da due giorni che viaggio su strade che squassano le ossa e fanno sognare un buon letto.

Di colpo il paesaggio mi risveglia il ricordo del viaggio precedente: il mercato, il bambino, la gente, la preghiera …
«Cosa sarà successo?».
Senza accorgermi sto accelerando, e i pensieri si fanno ansiosi. Arrivo al bivio conosciuto. Rallento, e un grosso dubbio mi assale: «E se fosse morto»?.

Le tettoie e i tavoli del mercatino sono deserti. Non spengo neppure il motore, e cerco con gli occhi un segno di vita all’intorno; un paio di ragazzi si avvicinano guardinghi. «Senti – chiedo ad uno di loro – qualche mese fa passavo di qui … c’era un ragazzine ammalato, giù in quella casa… non ricordo il suo nome, lo conosci?».
Mi guarda perplesso, poi esclama: «Ah! sì; lo conosco!». «Lo conosci. Allora è vivo?…». Credo di aver gridato dalla gioia.

E’ stato un attimo. Nella semioscurità ho sentito un altro grido di festa: «Mon Pére!… Azalì! E’ qui!». Una donna veniva di corsa e quasi timidamente voleva stringermi le mani. Le ho tolto ogni incertezza e me la sono presa fra le braccia. Una mamma felice che continuava a ripetermi: «Eccolo Padre, è vivo, è vivo! E’ qui!».

Infatti anche il bimbo era arrivato e mi guardava stupito.

L’ho trovato cresciuto e solido. Si sentiva che era contento; ma non parlava. «Quale è il suo nome?» – «Edimo!».
Me lo sono ripetuto più volte per non dimenticarlo. Poi gli ho sussurato: «Bravo Edimo; hai fatto bene a tornare indietro dal Paradiso. Vedi, senza di te tua madre non sarebbe più stata felice… Poi i bambini come te che muoiono piccoli sono già tanti. Hai fatto bene a tornare tra noi».

Edimo non mi ha risposto.
Ma mi ha sorriso e ho intravisto nei suoi occhi la luce delle stelle che riempivano il cielo. Allora ho capito che si era fatto tardi e mi restava ancora tanta strada da percorrere.

L’uomo cammina. E’ il suo destino e il suo impegno quotidiano da quando in modo misterioso e affascinante l’umanità è uscita allo scoperto sulla scena del Mondo.

Popoli e generazioni si succedono ciascuna con la sua storia; ciascuno apportando agli altri un po’ di esperienza e un po’ di luce, un po’ di chiarezza su questo cammino.

Il Profeta Isaia proclama: «Gli uomini che camminavano nelle tenebre hanno visto una grande Luce!». Da allora il cammino dell’Umanità si è fatto più spedito.

La Buona Notizia di Natale! Eccola in due righe: quel Dio che ha tracciato all’uomo la strada della vita ha accettato di percorrerla insieme con lui. Da amico, da compagno, da fratello condivide ormai la fatica e la gioia dell’Uomo; non lo lascerà più.

Dio cammina con noi: questo sì che è un dono!

Accorgersi di Lui e accoglierlo senza paura: questo è un augurio che merita di essere scambiato tra di noi fraternamente. Un augurio che può dare coraggio a chi ha perso i contatti con gli altri perché si è visto abbandonare da antichi compagni di strada, persone amate a lungo e ora d’improvviso sparite nel nulla. Un augurio per chi è stanco e continua a inciampare, si ferisce e soffre in silenzio. Un augurio per chi insiste a voler camminare da solo su strade senza uscita.
Un augurio anche per chi si è seduto e ha rinunciato da tempo a camminare, con Lui e con gli altri.

Buon Natale. Buon cammino, A tutti.

P. Gianni

Topics: '82 - '90 Congo, Lettere Natale | No Comments »

Comments

Stampa questo articolo Stampa questo articolo