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Isiro (Zaire), giugno 1988

By admin | giugno 1, 1988

S H A L O M ….. sulle tracce di chi costruisce la P A C E !

Isiro (Zaire), giugno 1988

Carissimi,

con il passare del tempo mi rendo conto che la Missione è un servizio duro e complesso. Proporre il Vangelo ad una realtà umana carica di contraddizioni e di storture non è facile e non produce effetti immediati; anzi, molto spesso il Vangelo è rifiutato perché aumenta la coscienza di certi problemi e acuisce la sofferenza di fronte alla impossibilità di risolverli. Ma si tratta di un passo indispensabile verso la conversione e la Salvezza in Cristo Gesù.

L’altro giorno è venuta a trovarmi una donna disperata.

Suo fratello è in galera perché ha rubato una grossa somma di denaro; e suo figlio è sotto processo perché ha messo incinta una ragazza minorenne. Ambedue rischiano di essere trasferiti alle prigioni centrali di Buta, dove possono trovare fame, torture o peggio.

L’angoscia di questa donna mi ha messo in crisi.

Da una parte c’è il suo desiderio comprensibile di impedire che il figlio e il fratello finiscano in una trappola mortale; dall’altra c’è l’esigenza sacrosanta che certi valori fondamentali comincino a prendere consistenza in una società dove il senso della responsabilità morale è quasi assente.
Un ladro, se non è stato colto sul fatto e refurtiva alla mano, si lascerà ammazzare di botte; ma non ammetterà mai il furto. Magari sceglierà una strada più spericolata: ammetterà il furto in segreto, spartirà la refurtiva con i suoi stessi guardiani, e di colpo, si troverà libero a recuperare il tempo perduto. Nasce così un’ambigua relazione tra gendarmi e malviventi che permette ai due gruppi di banditi di sfruttare la gente impunemente.

Non esiste il senso di colpa anche perché mancano le sanzioni adeguate alle malefatte pubbliche e private. E’ abbastanza normale che un giovanotto possa divorarsi tutte le ragazze che gli riesce; ma è assai raro che una famiglia abbia il coraggio di denunciarlo e di fargli pagare il sopruso.
Si preferisce arrangiare le cose, e purtroppo solo in termini di soldi; che la ragazza sia magari costretta a lasciare la scuola o sia bruciata da una maternità precoce, in genere non entra nel conto. Come dappertutto i furbi hanno mano libera e fanno ciò che vogliono. Il contabile della Zona, tanto per fare un esempio ripetutosi varie volte, può rubare impunemente i salari degli impiegati per mesi e mesi. Arrestato finalmente a furore di popolo e per dovere di «facciata», nel giro di una settimana si trova libero e trasferito ad altra sede; addirittura promosso di grado in una amministrazione corrotta che è un insulto e una sfida continua alla sofferenza della povera gente.

Perfino il Presidente Mobutu, lui stesso carico di scandali fin sopra i capelli, ha avuto il coraggio di denunciare l’inerzia e la corruzione dei quadri responsabili del suo Partito Unico (Movimento Popolare della Rivoluzione), riunito a Congresso nel maggio scorso. Ma sappiamo che tanto non cambierà niente: siccome tutti i funzionari sono più o meno implicati in affari poco puliti nessuno ha il  coraggio di  denunciare o  punire  chi  sbaglia.  E  il  sistema continuerà a sostenersi in bilico tra astuzia e omertà.

E’ a questo punto che dovrebbe entrare in gioco la forte reazione della Comunità cristiana; ma è proprio sul terreno sociale e politico che i suoi limiti si rivelano assai gravi.

A guardare le cifre sembra che la Comunità cristiana cresca: nel nostro piccolo settore di Ango, quest’anno abbiamo avuto seicento cresime, circa duecento prime Comunioni e qualche decina di battesimi. Per tenere viva la Comunità si fanno visite (safari), incontri con gli Animatori, Sessioni di formazione più intensa, contatti personali; si offrono strumenti di aggiornamento, si mandano i migliori ai centri più specializzati. Ma ho l’impressione che manchi a questi responsabili, e di riflesso a tutta la base, la voglia di lottare e la capacità di trasformare le strutture ingiuste del mondo che li circonda.

Forse manca il coraggio di riconoscere certe contraddizioni interne nel comportamento degli stessi responsabili della Comunità: catechisti, consiglieri e animatori vari. Si ha paura di guardare in faccia la realtà e di chiamare le cose con il loro nome: odio, ignoranza, lussuria, pigrizia, menzogna, poligamia, frode, egoismo. La paura di accettare la realtà, anche se amara, spinge molti a nascondere e a tentare delle giustificazioni. Per guadagnarsi il favore del Padre Missionario, alcuni fanno rapporti falsi e spingono avanti verso il Battesimo gente che non merita affatto. Poche settimane or sono ho scoperto che in una grossa Cappella quasi tutti i consiglieri, oltre il Catechista, avevano due o tre mogli; uno addirittura quattro. Me lo hanno nascosto con arte per quattro anni: m’è venuta voglia di bruciare la chiesa per aprirgli gli occhi sulla gravita del loro
comportamento. Il vero problema, in effetti, non era la poligamia, fenomeno culturale assai complesso e comprensibile in questa società tradizionale, ma la doppia vita. La mancanza di sincerità. Che si rifletteva poi su tutta la Comunità cristiana loro affidata.

Tutte queste abitudini la Bibbia le chiama con il semplice e schietto nome di «peccato»; sinonimo di morte, di ostacolo che impedisce la vita e la crescita della Comunità. Che perciò va eliminato! Qui invece scherzano con il fuoco. Tentano di giustificarsi con ragionamenti ambigui: «Siamo abituati così; …sono le nostre tradizioni; …non si può fare di più!». Ma allora dov’è la novità cristiana? La vita nuova? Il cuore nuovo? Quella conversione-rivoluzione che sta alla base del Regno di Dio proposto da Gesù di Nazareth?

Se a volte cerchi di affrontare certi temi con forza, la maggior parte della gente si crea nel cuore una barriera di autodifesa impenetrabile. «Cambiare un po’ va bene – dicono – ma seguire i Bianchi fino in fondo non è proprio il caso; tanto i Bianchi se ne andranno e noi resteremo!».
Queste parole sono state scritte da un catechista responsabile che ha spinto un suo collega a battezzare una catecumena impreparata. Sono affermazioni molto gravi, che probabilmente si annidano nel cuore di tanti pur bravi nostri collaboratori; non bastano i mille segni di stima e di affetto, di pazienza e di comprensione che offriamo loro in tante occasioni; non basta condividere con loro la vita e la fatica di annunciare il Vangelo.

Ci vorrà ancora un lungo tempo, un buon numero di generazioni, e un mare di grazia di Dio prima che il Cristo e il Vangelo non siano più qualcosa che è venuto dai Bianchi, proposto o imposto a volte in modo discutibile; ma un diritto che loro appartiene, un dono accolto con gioia.

Con tenacia ripetiamo ai nostri cristiani quello che Paolo ripeteva ai fedeli di Corinto, di Efeso e Tessalonica: «Avete aperto gli occhi su Cristo, avete udito la sua Parola, vi siete incamminati alla sua sequela, ma il vostro cuore è ancora bloccato da sentimenti e paure che vi impediscono di essere totalmente suoi discepoli».

Lo predichiamo con convinzione; ma ci rendiamo conto che non è facile vivere da cristiani seri in un contesto talmente saturo di tradizioni anti-evangeliche. Noi stessi sperimentiamo sulla nostra pelle la difficoltà di vivere certe dure parole del Vangelo, come quella: «Amate i vostri nemici e pregate per coloro che vi fanno del male».

Penso alla banda di giovani ladri che stanno imperversando in città, la nostra piccola Ango! Tra la popolazione si accontentano di rubare soldi, galline, radio e vestiti; tutta roba facile da rivendere sul mercato di Dingila, oltre il fiume.
Invece alla missione hanno messo a segno alcuni colpi discreti: il caffè di una intera annata, la valigia ancora piena di roba appena arrivata con mio padre, il pannello solare della chiesa, e una quantità di strumenti di valore.

A momenti ti viene voglia di dargli la caccia e prenderli per il collo; poi ti ricordi della parola del Signore: «Non sono venuto per i giusti»…e ancora: «Dio non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva». E resti lì bloccato! Come superare questi dubbi non è semplice…

Quando non sei direttamente implicato è relativamente facile accettare certe parole; ma viverle mentre ci si fa beffe di te e dei più deboli, diventa un problema. Se i soldati dello Stato o i poliziotti dei capi brutalizzano la gente e la rapinano con mille astuzie, non è facile vedere in loro «gente amata da Dio» per i quali bisogna pregare; piuttosto viene voglia di mandarli al diavolo. Ma allora daremmo torto alla Bibbia che afferma: «L’amore è più forte dell’odio e della morte».

Vi assicuro che è proprio questo affermare la forza dell’Amore, con pazienza e tenacia in ogni situazione, al di là dei risultati immediati, la vera fatica del Missionario in Africa.

Non mi piace esagerare i disagi e i pericoli della nostra vita. C’è un mare di gente che fatica molto più di noi per guadagnarsi un pezzo di pane e tenere in piedi una famiglia.
Tuttavia, è un fatto, la Missione ha anche qualche aspetto rischioso. Nei viaggi per esempio.

Il mese di Dicembre scorso, il Dott. Zanchi ed io siamo usciti incolumi da un rovesciamento spettacolare della Land-Rover!. Un paio di mesi dopo la stessa sorte è toccata a P. Laureano che si è
rovesciato su un fianco a oltre 100 kilometri dalla Missione.

Fortuna che Gino Filippini, un volontario dello SVI, è riuscito a riportarci a casa il Padre e la macchina. Poi è toccato a me, di ritorno da un safari nelle cappelle di API, fare oltre 60 km. senza freni e il cuore in gola.

Infine, la settimana scorsa l’ultimo brivido.

Scendendo verso Isiro, su strade a tratti motto rovinate, due bulloni della ruota posteriore destra della Land-Rover si sono allentati senza che me ne accorgessi. Quando ho imboccato la strada principale a velocità sostenuta (40/50 km ora) tutto filava via bene. Solo a circa 150 km da Isiro ho sentito uno strano cigolio; mi sono fermato un paio di volte per controllare.
Ma non ho notato nulla di strano; solo l’impressione che l’albero di trasmissione anteriore fosse un po’ allentato.

Però da quel momento, per mia fortuna, ho viaggiato con le orecchie ben tese.

D’un tratto sento che la macchina ha una secca sbandata. Riesco a tenerla in strada e mi domando che cosa stia succedendo: sono attimi delicatissimi, vissuti oltre la nozione del tempo. Gettando indietro uno sguardo ai miei compagni di viaggio resto esterefatto: vedo una ruota che sta filando di fianco alla nostra auto, quasi voglia sorpassarla sulla destra; veloce sale sulla scarpata della strada e si infila nella foresta. Dio mio! Avevo già sentito di storie del genere, e mi sembravano assurde; adesso la stavo vivendo in prima persona.

Solo quando, con grande prudenza mi sono arrestato sul bordo della strada, ho cominciato a valutare la gravità del rischio appena corso: se la ruota si fosse staccata in curva o lungo una delle frequenti colline? Su cinque bulloni che trattengono la ruota due sono spariti, e tre orribilmente consumati: «Neppure mettere la ruota di scorta servirebbe a nulla». Siamo proprio nei guai!

Ma per un missionario che si rispetta anche una situazione difficile come questa si risolve sempre in bene. Ci deve essere proprio una assicurazione speciale per lui. Infatti, cinque minuti dopo l’incidente arriva un camion che mi porta gentilmente alla vicina missione di Poko. Un giovane laico missionario, Michel, carica i ferri necessari su una vecchia Volkswagen e
viene a liberarci.

Naturalmente dopo questo ennesimo incidente, i Superiori ci spingono a comperare una seconda Land-Rover: «Non potete continuare così»! Tra incidenti e riparazioni varie quest’anno abbiamo lasciato dal meccanico una cifra da brivido. Si aggiunge il fatto che ora siamo tre Padri per un servizio a due Parrocchie con oltre cento cappelle. Un’auto in più raddoppierebbe le possibilità di servire la gente che spesso vede il Sacerdote solo una volta all’anno.

Ma c’è un problema serio: il costo di una Land-Rover, qui in Zaire supera i quaranta milioni di lire. Un’autentica sberla non facile da incassare. L’Economo provinciale ha bloccato i nostri conti e ci ha invitato a sospendere tutti gli altri progetti in corso per dare la precedenza all’automobile: «Non avete altra scelta; pensate innanzitutto alla vostra sicurezza e al servizio che dovete rendere a tanti cristiani». E’ vero; non abbiamo altra soluzione.

Per voi che ci sostenete su in Italia, vi rendete conto dell’importanza del vostro aiuto; più è fedele e regolare, e meglio possiamo far fronte a emergenze di questo genere, senza per questo rimanere bloccati nel nostro lavoro. So bene che capirete al volo e agirete di conseguenza.

Intanto, anche se il ritmo dei lavori è lento, per mancanza di operai qualificati, qualche obiettivo lo abbiamo raggiunto. Il papà Aldo ha sistemato il tetto delle scuole elementari delle
ragazze, sostituendo le vecchie lamiere arrugginite; adesso per altri 25 anni sono a posto. Poi si è avviato un risanamento progressivo delle aule. Invece delle finestre a vetri, oggetto di continui furti, abbiamo cominciato a mettere semplici riquadri in cemento. Se la formula funziona la applicheremo anche alle altre costruzioni.

Sempre per i ragazzi delle scuole abbiamo sistemato un vecchio pozzo e scavato un paio di nuovi. Il primo, profondo circa dodici metri, aspetta solo di ricevere i grossi anelli di cemento, preparati con enorme pazienza e fantasia dal papà e dai volontari Nicola e Gino. Se tutto va bene li caleremo in questi giorni, con una tecnica ancora tutta da inventare, dato il loro peso e i mezzi semplici a disposizione.E’ una vera e fortuna che ci sia il papà con tutta la sua
esperienza; sembra incredibile, a 77 anni ormai avanzati, tiene un ritmo di lavoro che supera di gran lunga quello degli altri operai. Speriamo che il clima africano non gli giochi qualche brutto scherzo.

Spero che questo ritardo della lettera comunitaria non vi faccia dubitare del mio quotidiano ricordo per ciascuno di voi. Anche scrivere qualcosa di sensato è una fatica e un impegno che si aggiunge a quelli già numerosi di ogni giorno. Ma cercherò di fare del mio meglio per farvi partecipare alla nostra gioia di lavorare per il Signore. Ma, credetemi, qualche volta è proprio dura; accanto allo sforzo della semina si vorrebbe gustare anche la gioia del frutto maturo.
Pazienza; a suo tempo verrà anche quella!

Con questa comunicazione anche voi venite a conoscere, almeno in parte, cosa stiamo combinando in quest’Africa che è diventata ormai la nostra ragione di vita. Comboni diceva:
“Se avessi mille vite, non esiterei a spenderle tutte per l’Africa».

A cento anni di distanza è quello che cerchiamo di fare anche noi;  ma il vostro aiuto ci è indispensabile, non dimenticatelo. Quel poco che riusciamo a combinare di bello è firmato anche
da tutti noi.

Forza, quindi, e grazie di cuore.
SHALOM.

  P. Gianni e papà Aldo.

Topics: '82 - '90 Congo | No Comments »

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