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Ango (Zaire), Santo Natale 1988

By admin | dicembre 25, 1988

S H A L O M ….. sulle tracce di chi costruisce la  P A C E !

Ango (Zaire), Santo Natale 1988

Carissimi,

attraverso le Riviste specializzate sulle Missioni ci arriva ogni tanto la eco di un dibattito che periodicamente si rinnova all’interno della Comunità cristiana.

Cosa vuoi dire essere Missionario oggi? Dove vivono, cosa fanno i missionari sparpagliati a decine di migliaia in tutti gli angoli del mondo?

Me lo chiedo anch’io spesso, nel mezzo di svariate occupazioni, e mi domando se la mia vita sa rispondere, con i fatti, ad una domanda così forte. Mi sembra, a volte, di essere puramente sfruttato da un mare di gente che non cerca la Parola di Dio, ma il pane per riempirsi il ventre.
Vuole cose concrete: medicine, vestiti, petrolio, zucchero, sale, scarpe… Vuole cose belle che li aiutino e li facciano felici! Subito!

E la parola di Dio? Sì; anche quella; ma più tardi!

La Domenica, se ci sarà il tempo.

La percentuale di quelli che assediano il mio ufficio per interessi materiali supera di gran lunga quella di coloro che cercano il Signore. E allora io, prete, cosa sono qui a fare? Come faccio a tradurre efficacemente e a praticare con loro il famoso:
«Cercate prima di tutto il Regno di Dio e il resto vi sarà dato in sovrappiù?».

Gli Azande, il popolo in mezzo al quale lavoriamo, sono pragmatici; vogliono il Regno qui e
subito.
Un Regno di felicità; senza tanti fastidi e tanti sforzi. E se Dio si trova uno spazio in questo regno terreno,  tanto meglio. Ma deve essere un Dio molto conciliante, altrimenti potrebbe trovarsi a disagio. Loro no! Gli Azande riescono a conciliare tutto. Non mi sembrano, per ora almeno, disposti a pagare il prezzo e a soffrire quanto è necessario per costruire il Regno di Cristo.
Verità, Giustizia e Amore sono proposte allucinanti per la società zande nel suo insieme.
Come sempre e dovunque i piccoli e i poveri sapranno accoglierle e viverle. Ma il blocco sociale e culturale zande mi appare ancora solidamente pagano. Forse è un giudizio un po’ duro, ma la realtà si manifesta proprio così.
Qui siamo ancora, in sommo grado, alla fase della lotta per la sopravvivenza: «Ognuno per sé e Dio per tutti».

Aiutare questo popolo ad aprirsi al dialogo con gli altri, senza malizia; ad accogliere gli altri e stabilire con tutti, Azande o stranieri, rapporti sinceri; aiutarli ad imparare l’amicizia e il dono senza interesse, l’amore «alla Cristo», questo mi pare un aspetto fra i più importanti del mio lavoro missionario. Ma vi assicuro che non è facile in una società in trasformazione, dove tanti elementi culturali tradizionali si affiancano e si sovrappongono a quelli di una società moderna! Amministrazione Statale e Autorità dei Capi tradizionali; Religione cristiana e credenze antiche; medicina tradizionale-magica e Sanità coordinata e controllata con metodi razionali; scuola moderna e pedagogia ancestrale.

E normale che le tensioni siano forti e che i comportamenti della gente siano a volte contraddittori. Troppe sollecitazioni stanno arrivando all’intelligenza, ai sentimenti e alle abitudini della gente.

Anche l’annuncio del Vangelo in un contesto del genere diventa assai difficile e a volte noi stessi siamo incerti sugli atteggiamenti pratici da prendere.

Malattia e morte.

Giorni fa un insegnante nostro amico viene ad avvertirci che sua moglie sta male: «Padre se non la porto in fretta dal nostro guaritore – quello che da noi un tempo si chiamava popolarmente stregone – morirà! Non parla già più; ci guarda con gli occhi fissi; si irrigidisce, fa gesti strani … Aiutami!».

Siamo d’accordo di aiutarlo; ma come? Qui sta il problema!

Secondo i nostri Azande certi tipi di malattie hanno origini magiche; sono causate dal malocchio e dalla cattiveria di altre persone. Perciò la medicina moderna è inutile; non può guarire. Bisogna trovare delle persone capaci di individuare e bloccare queste forze malefiche esercitate sul malato. Una volta, anche nell’ambito missionario, si parlava senza tante storie di «stregonerie e diavolerie»; oggi si usano termini più rispettosi; ma la realtà è veramente complessa: la gente è avvolta ancora in un mondo di terrore magico. Uno squilibrio di tipo epilettico, uno scompenso psichico con reazioni esterne violente, fanno pensare subito che il malato è vittima di macchinazioni diaboliche. Quella, per loro è la vera causa del male, e in tale direzione bisogna intervenire. Difatti anche il responsabile dell’Ospedale, avvertito del caso, si è limitato a dare un po’ di tranquillanti e ha detto: «Per me non c’è niente da fare; portatela altrove»… (cioè da un guaritore tradizionale).
In casi come questi, appunto, un cristiano deve sapere scegliere; perché ci sono tipi diversi di guaritori e tipi diversi di intervento per curare tradizionalmente le malattie. Alcuni sono basati su pratiche magiche inaccettabili: cioè sullo sfruttamento della gente e la menzogna. Altri invece su autentica esperienza terapeutica.

Ci siamo fidati dell’onestà dell’amico e l’abbiamo portato a 40 kilometri da una donna rinomata per le sue capacità di guaritrice.
Forse ci è andata bene. Rita, così si chiama la giovane sposa, ha ripreso a parlare e a nutrirsi.

Più delicato è un altro caso, ancora in fase acuta di svolgimento, che ha portato in prigione un paio di amici per accusa di omicidio! Però tutto in stile stile africano! Ecco come è andata.

Un gruppo di persone si trova a bere la birra di palma. È un’abitudine quotidiana, uno dei gesti socialmente più aperti all’amicizia, allo scambio di informazioni, alla festa; un luogo dove si avviano o si sistemano affari di ogni genere. Ma se la birra è troppo abbondante possono succedere dei guai.

E’ ciò che è avvenuto un mese fa qui in città, nel quartiere Mboti.
Sembra proprio che tutti abbiano bevuto in modo esagerato; fatto sta che un giovane professore rientra a casa ubriaco fradicio e si mette a letto sfinito.
Il giorno seguente, nonostante un forte mal di testa, egli se ne va in foresta a tagliare qualche tronco per la sua nuova casa. È  il  suo  giorno  libero  dalla  scuola.  Ce  la  mette  tutta;  ma  è colto da malore e rientra a mani vuote. Sua moglie è sorpresa e preoccupata:
«Cos’hai? Facciamo qualcosa?».

Senza dire una parola Andrea – così si chiama – si mette a letto, e da quel momento non mangia più, non parla e non reagisce. Anche la famiglia sua, invece di portarlo svelta all’ospedale, se lo tiene in casa, in attesa assurda che qualcosa avvenga, che la situazione si sblocchi da sola. Forse gli amministrano qualche rimedio tradizionale; non si saprà mai. Quando un amico professore si accorge del fatto e spinge la giovane moglie a portare Andrea all’ospedale è già tardi. Prima ancora di poter spiegare il suo male entra in coma e se ne va, come spegnendosi.

Gli Azande una morte così non l’accetteranno mai. È assurdo che in una settimana la morte si porti via un uomo giovane e forte.

Qualcuno deve averlo ucciso; qualcuno deve averlo avvelenato.

Non si muore a 28 anni dopo una semplice ubriacatura, sia pure straordinaria…
E allora, lentamente, meccanismi profondi si mettono in moto. Non appena la bara è coperta di terra, l’amarezza e l’odio spaccano senza misericordia anche i più forti legami di amicizia e di parentela.

Il  dubbio non risparmia nessuno!
Il gruppo dei bevitori della sera famosa è arrestato in blocco; dopo una serie di interrogazioni due persone restano in prigione: un amico e lo Zio di Andrea, proprio la persona che più lo ha aiutato per anni e anni durante gli studi.

Come è possibile? Naturalmente essi si protestano innocenti; ma se i loro «oracoli magici» li hanno indicati come colpevoli, chi potrà difenderli e liberarli?

Scuola e dintorni.

Sulla Rivista «Nigrizia», specializzata nei problemi Africani è apparsa una statistica che, se corrisponde al vero, è una staffilata in volto ai responsabili del nostro Paese. Stando alle cifre pubblicate, lo Zaire, potenzialmente tra i paesi più ricchi dell’Africa, è all’ultimo posto nella graduatoria dell’impegno a favore dell’Educazione, con un assurdo 0,8 per cento del prodotto nazionale lordo destinato al mondo della Scuola.

Confrontando i dati di altri paesi ben più piccoli e poveri sono rimasto allibito e amareggiato. Non soltanto il Governo non spende un centesimo per le costruzioni e le attrezzature scolastiche, ma offre agli insegnanti dei salari molto bassi rispetto agli altri dipendenti statali. Siamo a livelli miserabili.
In tale contesto la Scuola rimane ancora un settore importante dove la Chiesa può esplicare il suo servizio di sostegno alla popolazione e di supplenza quando lo Stato non può o non vuole intervenire.

Noi siamo in questa linea; e cerchiamo di ottenere la partecipazione responsabile dei genitori e delle Autorità locali, ciascuno secondo le sue competenze. Ma non è facile; davvero.
A partire dall’anno scorso abbiamo incominciato a seguire un po’ meglio quei ragazzi che devono lasciare la nostra Zona e recarsi in altri Centri per studi Superiori.

È un gruppetto che tende ad ingrossarsi.
Oltre agli studenti in medicina, che seguiremo in modo speciale, ne abbiamo uno in Agronomia e un paio in Sociologia. A questi si sono aggiunti tre insegnanti delle medie Superiori che hanno chiesto un’aspettativa per un periodo di specializzazione, in vista di rientrare poi nelle nostre scuole.
Questi ultimi hanno moglie e figli, perciò anche problemi non indifferenti di sussistenza. Naturalmente ci chiedono una mano.

Intanto alle loro spalle, stanno venendo su le nuove reclute del Ciclo Pedagogico. Abbiamo appena inaugurato il sesto anno terminale e se tutto va bene, nel prossimo mese di luglio vedremo i primi finalisti della nostra Scuola Superiore presentarsi agli Esami di maturità. Sarà un vvenimento!

Mentre seguiamo questi progetti belli per il futuro non perdiamo di vista la realtà dura e povera dei villaggi perduti nella savana, lontani dal centro. Anche lì, in uno sforzo apprezzabile di recuperare tanti bambini non inquadrati nelle scuole Statali, i genitori hanno messo in piedi alcune
«scuolette autonome» e ci hanno chiesto di pagare gli insegnanti.

Ci pare giusto e bello e possibile.
E per quest’anno ne abbiamo accettati quattro: dovremmo cavarcela con un paio di milioni di lire.

Varie.

Dai primi di settembre abbiamo una nuova LAND-ROVER modello 110: solida, bella e molto confortevole. Proprio quello che ci vuole per le nostre diaboliche strade della savana. La vecchia 109 che ci serve fedelmente dal 1983 resta al suo posto: niente prepensionamento. Con tre Padri in Missione e oltre cento piccole Comunità (cappelle) da seguire, due mezzi di trasporto sono il minimo per mantenere i contatti essenziali con la gente. Per quanto riguarda il pagamento della grossa fattura siamo a buon punto; abbiamo ricevuto alcune risposte incoraggianti e sono convinto che per Natale anche questo grosso obiettivo sarà raggiunto con l’aiuto di tutti.

Delle distanze e della pessima situazione delle strade è inutile lamentarci: siamo parte della periferia, che non conta nè economicamente nè politicamente. Tutti gli interventi del Governo si arrestano sulla riva del grande fiume Uele. Noi siamo oltre; dalla parte sfortunata. Se per caso una qualche commissione tecnica arriva fino a noi è soltanto per allungare la serie delle prese in giro che si ripetono da 25 anni. Dal tempo dell’indipendenza nessun lavoro di manutenzione seria e nessun investimento è stato fatto per le nostre strade. Logico quindi che vadano in malora; e logico che la gente si domandi a che servono le elezioni Politiche, il Governo, e il Partito, se per loro niente cambia in meglio. Ma forse un piccolo segno di cambiamento sta nascendo.

Quest’anno i Volontari Italiani (SVI) hanno avviato un delicato lavoro di animazione e di coordinamento, coinvolgendo le autorità locali e la gente almeno per riparare i punti più pericolosi. Hanno creato delle squadre di cantonieri che operano con mezzi semplicissimi (zappe e badili), su brevi pezzi di strada abbastanza vicini a casa. Il controllo del lavoro fatto e il salario sono pure molto semplici: tanti metri di strada riparata e tanti soldi ricevuti. A questo intervento tecnico dei Volontari, si aggiunge talvolta il lavoro comunitario organizzato dai Capi, per tagliare le alte erbe della foresta che altrimenti, soffocherebbero la strada.

Sembra che il metodo funzioni e sia apprezzato al punto che l’ultima Commissione tecnica inviata dalla Banca Mondiale ha pensato di appoggiarsi allo SVI nel caso di un futuro intervento.

Nel 1989, verso settembre, si saprà qualcosa.

Intanto i nostri amici Volontari sono partiti in vacanza per alcuni mesi in Europa; se tutto va bene a gennaio ritorneranno più numerosi per riprendere le attività già avviate nei settori delle strade, della Sanità e dello sviluppo agricolo.
E per sei anni, il progetto dovrebbe continuare.

Il vostro ultimo aiuto di 15 milioni è stato una spinta preziosa che ha risolto in parte problemi urgenti.

Sono giunto al termine di questa lettera comunitaria che è notte fonda. Una pioggia calma, di fine stagione, smorza il ticchettio della macchina da scrivere, mentre i miei confratelli Laureano e Francisco dormono beati. Così pure mio padre, che fra tre giorni compie 77 anni e caracolla dal mattino alla sera come un giovanotto.
Se tutto va bene queste note vi arriveranno in tempo per Natale.
Spero vi aiutino a sintonizzarvi con la realtà e la vita di questo pezzo di Africa che il Signore ci ha dato da Evangelizzare.
Si tratta di un impegno che cerchiamo di portare avanti con pazienza e tenacia: ma è una faticaccia, davvero!
Spezzare il Pane e la Parola di Dio è uno dei mestieri più delicati; per farlo bene bisognerebbe essere santi. O almeno semplici e “puri di cuore”come i pastori che per primi hanno accolto il Signore.
Allora ci diamo appuntamento per quella notte benedetta, in cui il Dio della Pace ha messo la sua dimora nel cuore del Mondo.

Buon Natale a tutti.

P. Gianni e papà Aldo

Topics: '82 - '90 Congo, Lettere Natale | 1 Comment »

One Response to “Ango (Zaire), Santo Natale 1988”

  1. daniele Says:
    settembre 19th, 2018 at 2:33 am

    grazie all’amico conosciuto padre Gianni
    nella distanza di tempo dei suoi scritti
    vibrano nell’attualita mia e di altri come me volontari
    la radice che sostiene l’albero non si vede
    ma senza di esse nulla sarebbe

    grazi GIanni

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